Era da oltre un anno e mezzo, ormai, che si attendeva la “seconda mossa” del risiko bancario, la stagione che dovrebbe ridurre sensibilmente il numero degli istituti di credito presenti nel nostro paese, al fine di creare 4 o 5 grandi istituti solidi e strutturati. La Banca Centrale Europea, d’altro canto, spinge in questa direzione da svariati anni. E l’Italia, a differenza di altri paesi, al momento sta rispondendo col freno a mano tirato.
Si pensava che l’acquisizione di Ubi da parte di Intesa potesse dare il “via” ad una rapida modifica della geografia del sistema bancario italiano. Ma così non è stato. I bollenti spiriti dei trader professionisti, a differenza delle persone iscritte a questo sito, sono stati rapidamente sopiti dalla grande indecisione dei grandi manager bancari, decisamente restii ad effettuare altre operazioni di consolidamento.
MPS: la patata bollente che ha fermato il risiko bancario
Inutile negare come la situazione del Monte Paschi abbia condizionato la stagione delle fusioni bancarie, col Ministero del Tesoro costretto a vendere la propria partecipazione come da accordi pregressi presi con la BCE. Come noto, lo Stato, onde evitare la bancarotta dell’ex terza banca nazionale (la più antica del mondo), è stato “costretto” ad intervenire con la mano pesante, acquisendo quasi il 70% delle quote della banca senese.
Entro la fine di quest’anno, però, il Ministero del Tesoro dovrà vendere la propria partecipazione, un’impresa che col passare dei mesi si è rivelata titanica. Che MPS fosse considerata una “patata bollente”, non è certo un mistero.
Secondo alcuni analisti, infatti, l’OPA ostile di Intesa nei confronti di UBI, una sorta di “unicum” nella storia finanziaria nostrana, era stata concepita per evitare che Ca de Sass fosse coinvolta nella vendita di Siena.
Una mossa che si è rivelata “vincente”, visto che Intesa, considerate le dimensioni assunte dopo l’acquisizione dell’ex istituto di credito bresciano-bergamasco, non è più coinvolta nel risiko bancario. E, potenzialmente, potrebbe guadagnare fette di mercato nei confronti degli altri competitor, che avranno a che fare con acquisizioni e fusioni potenzialmente in grado di creare disagio nei confronti dell’utenza bancaria.
Unicredit: oggi MPS, domani Banco-BPM?
La “patata bollente” MPS, quindi, ha coinvolto direttamente Unicredit, l’altro grande player del mondo del credito nazionale, scalzato da Intesa nel ruolo di principale banca italiana da qualche anno a questa parte. La banca milanese puntava ad una preda come “Banco-BPM”, diventata estremamente attraente dopo l’addio di UBI.
La nomina di Carlo Padoan alla presidenza del consiglio d’amministrazione di Unicredit, però, ha cambiato le prospettive degli analisti, considerato l’incarico che ricopriva, fino a qualche anno fa, l’economista italiana: Ministro del Tesoro ed esponente del principale partito di centrosinistra italiano. Sin da subito si è compreso come la nomina di Padoan fosse propedeutica ad un’operazione di acquisizione di MPS da parte di Unicredit.
E nonostante la ritrosia di molti dei principali azionisti di Piazza Cordusio, l’operazione sembra destinata ad andare in porto. L’avvento come CEO di Orcel, definito da molti come il “Cristiano Ronaldo dei banchieri”, sembra aver incanalato la trattativa sui binari giusti, col coltello dalla parte del manico di Unicredit, che ha letteralmente sovvertito le condizioni imposte dal Tesoro in un primo momento.
La banca milanese, infatti, pare destinata a rilevare solo la parte redditizia di MPS, lasciando il salasso delle cause legali (oltre 10 miliardi di richieste pendenti) al MEF. Un’operazione per molti versi simile a quella che fece Intesa con le banche venete, rilevate al prezzo simbolico di €1,00, senza alcun credito deteriorato. E che non esclude la possibilità per Piazza Cordusio di rilevare, in un secondo momento, anche Banco BPM, la vera preda ambita da Orcel.